I sopravvissuti non-coscienti ad arresto cardiaco al di fuori dell’ospedale hanno un elevato rischio di decesso o ridotta funzione neurologica.
La ipotermia terapeutica è raccomandata dalle lineeguida internazionali, ma le prove a supporto del suo utilizzo sono limitate e la temperatura target associata al miglior esito non è nota.
È stato condotto uno studio con l’obiettivo di confrontare due temperature target, entrambe mirate a prevenire la febbre.
In uno studio internazionale, 950 pazienti adulti non-coscienti dopo arresto cardiaco di presunta causa cardiaca al di fuori dell’ospedale sono stati assegnati in maniera casuale a una temperatura fissata a 33 o 36°C.
L’esito primario era la mortalità per tutte le cause fino alla fine dello studio.
Gli esiti secondari includevano un composito di scarsa funzione neurologica o decesso a 180 giorni, valutati con la scala Cerebral Performance Category ( CPC ) e la scala Rankin modificata.
In totale, 939 pazienti sono stati inclusi nella analisi primaria.
Al termine dello studio, il 50% dei pazienti nel gruppo 33°C ( 235 su 473 pazienti ) era deceduto, rispetto al 48% dei pazienti nel gruppo 36°C ( 225 su 466 pazienti ) ( hazard ratio con una temperatura di 33°C, HR=1.06; P=0.51 ).
Al follow-up a 180 giorni, il 54% dei pazienti nel gruppo 33°C era deceduto o mostrava una ridotta funzione neurologica alla scala CPC, rispetto al 52% dei pazienti nel gruppo 36°C ( risk ratio, RR=1.02; P=0.78 ).
Nell’analisi con la scala Rankin modificata, il tasso comparabile è stato pari a 52% in entrambi i gruppi ( RR=1.01; P=0.87 ).
Sono stati ottenuti risultati simili nell’analisi aggiustata per fattori prognostici noti.
In conclusione, nei sopravvissuti non-coscienti ad arresto cardiaco di presunta causa cardiaca al di fuori dell’ospedale, l’ipotermia a una temperatura di 33°C non porta beneficio rispetto a una temperatura di 36°C. ( Xagena2013 )
Nielsen N et al, N Engl J Med 2013; 369: 2197-2206
Cardio2013 Med2013