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Malattie linfoproliferative post-trapianto


Gli stati d’immunodeficienza, sia essa congenita, iatrogena o acquisita, predispongono allo sviluppo di neoplasie linfoidi ( Elenitoba-Johnson 1997 ).
Lo sviluppo del linfoma dopo trapianto è stato descritto per la prima volta da Doak et al nel 1964 in un paziente sottoposto a trapianto renale ( Doak 1964 ).
Il termine disordini linfoproliferativi post-trapianto invece è stato introdotto da Starzl et al nel 1984.

Le malattie linfoproliferative post-trapianto ( PTLD, post-transplant lymphoproliferative disorders ) si manifestano come proliferazioni linfoidi o plasmocitiche che si sviluppano in seguito ad immunosoppressione nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di un organo solido, di midollo osseo o di cellule staminali.
Questi disordini linfoproliferativi differiscono dai linfomi osservati nei pazienti immunocompetenti; corrispondono raramente a un linfoma a basso grado a cellule B, sono frequentemente extranodali, hanno un decorso aggressivo, sono più spesso associati con il virus di Epstein Barr ( EBV ) e possono rispondere alla riduzione o sospensione dell’immunosopressione ( Starzl TE 1984 - Cohen JI 1991 ).

Il rischio di malattie linfoproliferative post-trapianto dipende dall’organo trapiantato con una frequenza compresa tra l’ 1% e il 10% ( Leblond V 2004 ); l’incidenza più alta si osserva dopo trapianto di polmone o di piccolo intestino mentre un’incidenza minore si ritrova nel trapianto di rene.

La diagnosi nel 50% dei casi avviene dopo 12 mesi dal trapianto di organo solido ( SOT ) ( Kremer BE 2012 ).
L’incidenza di malattia linfoproliferativa post-trapianto dopo trapianto allogenico di cellule staminali è tra 1-3%, soprattutto nei trapianti da cordone, e la diagnosi si riscontra entro 6-12 mesi dal trapianto ( Baker 2003 ).

Vari fattori di rischio sono stati identificati per lo sviluppo delle malattie linfoproliferative post-trapianto: tipo di organo trapiantato, regime immunosoppressivo, età del paziente, siero-conversione per EBV al momento del trapianto.

Negli ultimi vent’anni molte sono state le proposte classificative per questo tipo di disordine. La più recente classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ( WHO 2008 ) distingue: 1) lesioni precoci, 2) PTLD polimorfi, 3) PTLD monomorfi e 4) PTLD tipo linfoma di Hodgkin classico.

Le lesioni monomorfe e le lesioni tipo Hodgkin sono veri e propri linfomi, per i quali vale la caratterizzazione in sottogruppi istopatologici che si applica ai loro corrispettivi ad insorgenza nel paziente immunocompetente ( Swedlow SH 2008 ).
La popolazione cellulare che costituisce la malattia linfoproliferativa post-trapianto origina più frequentemente dai linfociti del ricevente nel caso di trapianto di organo solido, mentre in caso di allotrapianto di cellule staminali, le cellule coinvolte derivano prevalentemente dal sistema immunitario del donatore.
Per quel che concerne l’istotipo, le lesioni sono costituite da linfociti B nell’85% dei casi ( di cui l’80% e EBV-correlato ) e da linfociti T/NK nel restante 10-15% ( dei quali solo il 30% risulta EBV-positivo) ( Taylor A 2005 ).

La diagnosi di malattia linfoproliferativa post-trapianto si basa sull’esame istologico effettuato su un campione bioptico rappresentativo della lesione. Aspetti morfologici e risultati immunoistochimici valgono per una precisa classificazione istopatologica. La ricerca del virus EBV può essere condotta con tecniche di immunoistochimica ( LMP1, EBNA2 ) o mediante ibridazione in situ ( EBER ). Come nei linfomi nei paziente immunocompetente, la stadiazione di malattia prevede una biopsia osteomidollare, una tomografia computerizzata ( TC ) toraco-addominale con mezzo di contrasto, PET-TC total body e indagini radiologiche specifiche per lo studio della lesione extranodale ).

Spesso la malattia si manifesta con comparsa di una linfoadenopatia e/o linfoadenopatie multiple. La localizzazione cerebrale, solitamente rara nella popolazione generale, viene descritta nel 13% dei pazienti. Localizzazioni extranodali sono segnalate a carico del distretto gastrointestinale, cutaneo e maxillo-facciale ( lingua, gengiva, palato ).

La malattia può essere asintomatica oppure possono comparire sintomi quali stanchezza, sonnolenza, perdita di peso, sudorazioni notturne profuse e febbre.

Gli approcci terapeutici in uso sono molteplici e mirano da un lato a ripristinare l’immunità cellulare T tramite la riduzione dell’immunosoppressione e dall’altro a colpire le cellule B tramite radioterapia, chemioterapia, anticorpi anti-CD20 ( Rituximab ).
Altre terapie quali resezione chirurgica o agenti antivirali ( Aciclovir, Valaciclovir, Ganciclovir, Valganciclovir ) sono ancora in discussione. ( Xagena2017 )

Fonte: Associazione Malattie del Sangue Onlus, 2017

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